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Matrioska: origine, storia e curiosità

Foto di Wolfgang Eckert da Pixabay

La Matrioska: origine, storia e curiosità della famosa bambola russa dipinta con il costume tradizionale delle donne

La Matrioska è la bambola russa in legno che si compone di diverse bamboline, inserite una dentro l’altra.

Ogni bambola è divisa in due parti e al suo interno si trova una bambola più piccola.

La più piccina è indivisibile e si chiama seme, mentre la più grande, che le contiene tutte, si chiama madre.

La prima Matrioska è stata realizzata alla fine del XIX secolo da un ricco collezionista d’arte, Savva Mamontov che fu ispirato nella creazione della prima Matrioska osservando un giocattolo di legno che arrivava dal Giappone e che si componeva di quattro figure, ciascuna inserita all’interno di un’altra più grande.

C’è chi, infatti, fa risalire la sua origine alle scatole cinesi.

Foto di cottonbro da Pexels
Foto di cottonbro da Pexels

La prima Matrioska, che si componeva di otto pezzi, fu colorata da un famoso illustratore di libri per bambini che rappresentò la bambola con il costume tradizionale delle donne russe.

Nel 1900 la Matrioska fu riconosciuta come il simbolo della tradizione e della cultura russa.

Una Matrioska è composta almeno da tre pezzi; la più grande è stata realizzata negli Stati Uniti e si compone di 51 pezzi.

Foto di Schwoaze da Pixabay
Foto di Schwoaze da Pixabay

La Matrioska non è solo una bambola, ha un significato profondo: rappresenta la figura materna, la fertilità della donna e della Terra.

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Collezioni di lusso: le Uova di Fabergè

Foto di josuperqu da Pixabay

Collezioni di lusso: le creazioni di alta gioielleria, a partire dal 1885 le famose Uova di Pasqua di Peter Carl Fabergè

Oggi parlerò delle Uova di Fabergè. Per chi non lo sapesse, si tratta di oggetti di alta gioielleria la cui creazione risale al 1885. Fu lo zar Alessandro III di Russia a commissionare al gioielliere Peter Carl Fabergè il primo uovo d’oro per regalarlo a sua moglie, la zarina Maria Fedorovna, in occasione della Pasqua.

Questo uovo era di colore bianco e aveva la struttura di una matrioska: al suo interno conteneva un tuorlo d’oro che a sua volta nascondeva una gallina, anch’essa d’oro, e con dei rubini al posto degli occhi.

Foto di Monika Schröder da Pixabay
Foto di Monika Schröder da Pixabay

Non è finita qui, perché la gallina conteneva una miniatura della corona. Questo dono piacque così tanto alla zarina che da allora commissionò a Fabergè, ogni anno per Pasqua, un uovo che doveva essere un pezzo unico.

Dieci anni dopo, nel 1895, lo zar Alessandro morì e sul trono salì il figlio Nicola. Da allora Fabergè creò due uova l’anno, il primo per la nuova zarina, Aleksandra, il secondo per Maria Fedorovna.

La collezione imperiale aveva in tutto 52 esemplari. La produzione delle Uova si è interrotta solo nel 1904 e nel 1905 a causa della guerra tra Russia e Giappone.

Foto di opsa da Pixabay
Foto di opsa da Pixabay

Le Uova di Fabergè (purtroppo non tutte) sono in esposizione nel Palazzo dell’Armeria del Cremlino a Mosca, e in alcuni altri musei del mondo.

Foto di Marie Sjödin da Pixabay
Foto di Marie Sjödin da Pixabay

Naturalmente ci sono innumerevoli imitazioni delle Uova di Fabergè che possiamo permetterci anche noi perché sono realizzate in diversi materiali, dal legno alla porcellana.

Ci sono anche ciondoli per gioielli o per bigiotteria.

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I Puffi, dai fumetti ai cartoni animati

Puffo spazzino

I Puffi, quegli strani ometti blu disegnati da Peyo, dai fumetti nel 1958 ai cartoni animati diffusi in tutto il mondo.

Oggi parliamo dei Puffi, “gli strani ometti blu” creati dal fumettista belga Peyo nel 1958 come personaggi secondari di un altro fumetto.

Nel 1958 i Puffi fecero la loro comparsa nel fumetto John e Solfamì.

Inizialmente erano personaggi secondari, ma il loro successo fu così enorme che l’anno dopo divennero loro stessi i protagonisti di un fumetto tutto loro.

Nacque così un film animato nel 1975, Il flauto a sei Puffi e, a partire dal 1981, fu prodotta e trasmessa negli Stati Uniti una serie di cartoni animati di 421 episodi in 9 stagioni.

Anche in Italia il famosissimo cartone animato raggiunse un enorme successo di pubblico.

Dal 1982 tutte le stagioni dei Puffi furono trasmesse durante la trasmissione pomeridiana Bim Bum Bam.

I Puffi rimasero su Italia 1 fino al 1990.

Tutti gli episodi sono andati in onda più volte anche su Canale 5 e Rete 4 fino a metà degli anni 90.

Dagli anni 2000 sono trasmessi su Boing, Boomerang e Cartoonito.

I Puffi vantano anche uno straordinario merchantising, dei film , e addirittura un saggio del grande Umberto Eco, incentrato sul linguaggio dei Puffi.

Chi sono i Puffi? Cristina D’Avena nella Canzone dei Puffi cantava così:

“Chi siano non lo so,
gli strani ometti blu,
sono alti su per giù
due mele o poco più”.

Appunto: sono dei piccoli esserini, o folletti, chissà, tutti blu che indossano dei pantaloni bianchi e un cappello anch’esso bianco.

Solo Grande Puffo, il loro anziano capo, ha pantaloni rossi e si distingue dagli altri anche per la barba bianca.

Grande Puffo
Foto di Capri23auto from Pixabay

I Puffi sono tantissimi e tra di loro i personaggi principali sono: Puffetta, (per alcune stagioni, l’unica femmina del villaggio) Quattrocchi, Tontolone, Inventore, Golosone, Forzuto, Brontolone, Burlone e Vanitoso.

I nomi, naturalmente, rappresentano perfettamente le qualità/caratteristiche o difetti di questi Puffi.

Puffo Golosone
Immagine di Edouard Jausions from Pixabay

I Puffi vivono nella foresta, in un villaggio chiamato Pufflandia.

Le loro abitazioni sono dei funghi con il tetto rosso.

I Puffi hanno un nemico: il perfido stregone Gargamella che vive con il gatto Birba.

Abita in un castello diroccato e il suo sogno è di creare la pietra filosofale.

Nella formula servirebbero sei Puffi da bollire insieme al veleno di un serpente.

Per questo tenta di catturarli ma, fortunatamente, i piccoli ometti blu riescono sempre a salvarsi.

Cosa dire del loro linguaggio? Se Umberto Eco ha addirittura dedicato un saggio alla loro semantica, non possiamo fare a meno di concludere questo post puffando qualche parola puffosa.

Già, perché una caratteristica peculiare dei Puffi è il termine Puffo: viene usato coniugandolo e facendolo a volte diventare verbo, a volte aggettivo.

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Riciclo creativo: come riutilizzare i barattoli di vetro

Fiori in barattolo di vetro

Alcune idee per il riciclo creativo facile e veloce: come puoi trasformare e riutilizzare i barattoli di vetro vuoti

Perché gettare via i barattoli vuoti di marmellata, sugo o maionese?

Possiamo utilizzarli in svariati modi.

Vediamone alcuni, tutti molto semplici e veloci da realizzare.

I barattoli di vetro, grandi o piccoli che siano, possono trasformarsi in soprammobili, portapenne, porta-caramelle o idee regalo.

Certo, non vanno lasciati così come sono: bisogna decorarli e abbellirli.

Non è per niente difficile e non serve chissà quanto materiale.

E un ottimo passatempo in cui si possono coinvolgere anche i bambini. Siete pronte a conoscere qualche idea?

Barattoli-con-piante
Foto di magdakamyszek da Pixabay

Tempo fa ho deciso di trasformare un semplice barattolo di vetro in una sorta di finto acquario: l’ho riempito di acqua in cui avevo aggiunto del colorante blu.

In questo modo è diventata azzurra.

Poi, con la tecnica del decoupage, ho incollato sulla superficie esterna delle immagini di pesciolini (per la gioia di mio figlio ho messo anche Nemo e Dori!).

Per finire, ho dipinto il coperchio e con la colla a caldo ho incollato due conchiglie. Semplice e divertente!

Volete degli eleganti portacandele o porta-caramelle? Basterà procurarsi dei nastri di stoffa o pizzo e, sempre con l’aiuto della colla a caldo, incollarli sul bordo inferiore e superiore.

Per il portacandela, naturalmente il tappo non serve, ma per il porta-caramelle si; quindi è necessario decorare il tappo.

E’ sufficiente un ritaglio di stoffa e un nastrino abbinato.

Volendo si possono incollare anche degli elementi 3D.

Portacandele
Foto di StockSnap da Pixabay

Un’altra idea carina e facile da realizzare è questa: procuratevi dei sassolini del colore che preferite e dei fiori finti.

Inserite i sassolini sul fondo del barattolo, mettete i fiori, poi decorate a piacere il tappo.

Il vostro soprammobile è fatto!

Irene C.

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Acqua di Colonia: origine e curiosità

Profumi

L’Acqua di Colonia fu ideata da un piemontese emigrato in Germania. Scopriamo la sua origine e qualche curiosità.

Vi siete mai domandati quando è nata l’Acqua di Colonia? L’Acqua di Colonia si differenzia dal profumo in quanto contiene una quantità decisamente minore di essenza diluita in etanolo.

Si deve ad un piemontese, Giovanni Paolo Feminis, nato nel 1660 in un paesino della Val Vigezzo ma emigrato in Germania, a Colonia. 

Giovanni conosceva una sorta di “formula segreta” che si portò dietro dal Piemonte: si trattava di una preparazione a base di essenze come limone, lavanda, gelsomino, fiori d’arancio, salvia e rosmarino macerate in acquavite.

Colonia-lavanda
Foto di Couleur da Pixabay

Tale preparazione veniva utilizzata come panacea per guarire dolori e mali di ogni tipo.

Giovanni aprì un laboratorio nel 1709 e, utilizzando la formula segreta, creò l’Aqua Admirabilis.

Si trattava di una preparazione ottenuta dalla macerazione di piante e fiori in una base di acquavite.

Successivamente, si rese conto che l’acquavite non era proprio la base ideale per la sua acqua, in quanto l’odore che lasciava sulla pelle non era sicuramente piacevole.

Così aggiunse il bergamotto.

L’Aqua Admirabilis ottenne un grande successo e veniva utilizzata come analgesico e antisettico.

Fu un amico, di Feminis, Giovanni Maria Farina, anch’egli piemontese emigrato in Germania, a mutare il nome dell’Admirabilis in Acqua di Colonia. Sempre grazie a lui, che divenne collaboratore di Feminis, l’Acqua di Colonia divenne famosa anche al di fuori della Germania: Feminis, infatti, morì senza eredi e furono Farina e i suoi discendenti a continuare a produrre l’Acqua di Colonia.

Lo straordinario successo dell’Acqua di Colonia si deve soprattutto alle abitudini di quei tempi: nel XVII secolo in Europa si faceva uno smodato utilizzo di acque aromatiche.

Questo perché le condizioni igieniche a quei tempi non erano certamente delle migliori!

A parte la mancanza di acqua corrente e servizi igienici, durante il Medioevo, infatti, si credeva che l’acqua fosse portatrice di malattie, soprattutto della peste.

Per questo motivo, anche il bagno nella tinozza era sconsigliato.

Addirittura, Luigi XIV, il Re Sole, si fece il bagno solo un paio di volte in tutta la sua vita. Stessa cosa per le dame di corte.

Luigi XIV
Foto di Ibrahim Diallo da Pixabay

Immaginate che odore nauseante doveva esserci nelle strade, all’interno dei palazzi e delle abitazioni!

Eppure Luigi XIV era soprannominato “Dolce Profumo”; non pensate però che fosse per l’odore del suo corpo! Aveva una vera  e propria ossessione per i profumi.

Quale stratagemma utilizzavano a quei tempi a nascondere l’odore nauseante che emanavano?

Facevano, appunto,  largo uso di acque profumate: sotto le ascelle, all’interno di sacchettini di stoffa appesi tra i vari strati di vestiti che erano soliti indossare, inseriti anche sotto le parrucche.

Perché, come potete immaginare, non si lavavano neppure i capelli! Spesso dovevano rasarsi il capo, anche le donne, perché vista la totale assenza di igiene, per risolvere alla radice il problema dei pidocchi, si rasavano a zero e utilizzavano le parrucche.

Anche Napoleone divenne un consumatore di Acqua di Colonia: ben quattro litri ogni settimana.

Per fortuna a differenza del Re Sole, lui amava farsi il bagno quotidianamente, però era un periodo storico differente e, fortunatamente, il progresso aveva fatto sì che ci si rendesse conto dell’importanza dell’igiene, soprattutto nella prevenzione delle malattie.

A Santa Maria Maggiore nella Val Vigezzo potete visitare il Museo Casa del Profumo Feminis-Farina.

Troverete questa scritta, riferita all’Acqua di Colonia, esposta su un pannello all’interno del museo: vanta il primato inequivocabile di essere l’unico profumo di quattro secoli fa ancora presente sul mercato.

Irene C.