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La storia dei francobolli con la propaganda pubblicitaria

francobolli pubblicitari 1924

La storia dei francobolli con la propaganda pubblicitaria, valori bollati particolari che hanno riscosso scarso successo

Questo tipo di francobolli presentano un’inserzione pubblicitaria pubblicata sui margini, sul retro o su bandelle, autorizzata e stampata dall’amministrazione emittente o da concessionari.

Nel 1893 fu la Nuova Zelanda a emettere una prima serie con annunci pubblicitari sul retro ma l’iniziativa fu affossata in seguito alle polemiche suscitate.

In Europa diversi paesi provarono ad introdurre questo tipo di carte-valori. In Francia apparvero nel 1923 e la pubblicità era apposta su apposite bandelle dentellate che potevano essere staccate dal resto del francobollo.

Le varie iniziative non incontrarono il favore dell’opinione pubblica che non ammetteva come un organo rappresentativo della nazione potesse associarsi alla vendita di spazi pubblicitari.

Le Poste Italiane nel 1924, a seguito dell’emanazione del Regio Decreto n. 356 del 08/02/1923, introdussero anche in Italia i francobolli pubblicitari.

  • 50 centesimi Macchine per cucire Singer
  • 15 centesimi Bitter Campari

Nonostante il decreto stabilisse che le appendici pubblicitarie avrebbero dovuto essere separabili dai rispettivi francobolli mediante perforazione tra le due parti; questa caratteristica non fu applicata.

Gli inserzionisti erano tenuti a pagare 5 lire per 1.000 esemplari per un quantitativo minimo di 100.000 valori.

Questo tipo di francobollo era riservato unicamente alla corrispondenza destinata all’interno del territorio nazionale.

Tra il 1919 e il 1925 le Poste Italiane oltre ai francobolli hanno emesso anche cartoline e biglietti postali contenenti avvisi pubblicitari.

Nel 1939 anche Cuba utilizzò i francobolli pubblicitari per propagandare il tabacco dell’Avana.

El Salvador nel 1940 utilizzò la stessa tecnica per il caffè, venne aggiunta su alcuni francobolli la scritta “El cafè de El Salvador es el mejor del mundo”.

Alcuni collezionisti sostengono che l’uso dei commemorativi legati ai brand siano da considerare al pari della pubblicità nascosta.

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